Rigopiano: denaro e omertà sulle vite spezzate

Rigopiano: cosa si nasconde dietro la tragedia che costò la vita a 29 persone?

La tragedia di gennaio 2017 simboleggia l’impotenza dell’uomo di fronte alle calamità naturali e ai disastri che ne derivano. La riflessione ruota attorno a cosa si sarebbe potuto fare prima e durante un evento di tale portata, apparentemente imprevedibile. Ma non siamo qui a cercare colpevoli: a questo penserà la magistratura. Piuttosto, la discussione è su come l’avidità del genere umano possa cancellare la vita di altri esseri umani. E questo non riguarda solo quanto accaduto a Farindola, è un concetto più ampio che si può estendere a tante altre situazioni. Dobbiamo allora chiederci: quanto rispetto abbiamo dell’umanità e, di conseguenza, di noi stessi?

Rigopiano: denaro e omertà su una tragedia di rilevanza internazionale

Nell’Hotel Rigopiano persero la vita 18 ospiti e 11 membri dello staff. Le ricostruzioni su quanto accadde quasi sette anni fa parlano di una macchina dei soccorsi che si attivò tardi, forse per negligenza. La verità è che tutto fu fatto con estrema leggerezza, a partire dall’attivazione della macchina burocratica, che non diede il giusto peso alle ripetute chiamate che Gabriele, cameriere dell’hotel, fece la stessa mattina durante le scosse di terremoto.

Poi ci sono le altre vicende, raccontate dai canali mainstream e da chi, quel giorno, era in contatto con le persone che soggiornavano nella struttura. Chi fu a conoscenza dei fatti, non parlò mai, perché farlo avrebbe significato ammettere la propria colpa. Se ne sono occupati in molti, tra cui Le Iene su Italia Uno e recentemente Pablo Trincia su Sky.

Noi vogliamo raccontarvi la storia dall’inizio, da quando nacque quell’hotel.

Una struttura costruita dove non si poteva

Quello che divenne un resort di lusso, era nel 1958 una baita in pietra a due piani, gestita dal Club Alpino Italiano. L’idea di creare una struttura ricettiva di alto livello fu di Ermanno Del Rosso, che nel 1967 realizzò anche la strada che collegava il rifugio a Farindola, percorrendo il dislivello dai 1200 metri s.l.m. del rifugio ai 530 metri s.l.m. del paese.

La famiglia Del Rosso acquistò l’immobile dal comune e lo trasformò in un hotel, ma l’attività chiuse dopo vent’anni. I nipoti di Ermanno ereditarono la struttura e, negli anni Duemila, la rimisero in piedi tra abusi edilizi, in un’area tutt’altro che sicura. Infatti, il resort era situato ai piedi dei monti San Vito, Siella, Coppa e Camicia. Ed è proprio dal Monte Siella, di 2000 metri, e dal canalino est denominato “la Genzianella” che si staccò la valanga fatale per le 29 vittime.

Già in passato, da quel canale si erano verificate slavine. D’inverno, nei periodi di forte nevicata, la strada dopo il bivio per Teramo era spesso chiusa. Negli anni, erano stati realizzati alcuni lavori di messa in sicurezza, costruendo un muretto in cemento lungo la parete della stessa strada, per arginare un potenziale nevemoto.

Considerate le evidenze, e premesso che si tratta di un evento straordinario, perché allora si lasciò costruire un resort in quella zona? Quali furono le motivazioni che spinsero gli amministratori locali e la Regione Abruzzo a concedere le autorizzazioni?

Per la politica la prevenzione è un optional

Forse l’idea era quella di dare uno slancio economico al territorio; la realtà dimostra che in quel territorio si compì un vero e proprio pluriomicidio. Sebbene l’eccezionalità dell’evento sia innegabile, spesso per la politica la prevenzione è un optional. Come se acquistassimo un’auto e rinunciassimo agli airbag, pensando: “tanto non farò mai un incidente”.

Gli errori commessi furono tanti, a partire dalla costruzione del resort in quella zona. Le strade di accesso avrebbero dovuto essere mantenute sgombre H24, per consentire agli ospiti e al personale di allontanarsi in sicurezza. In aggiunta, oltre alla collaborazione degli enti preposti, si sarebbe dovuto obbligare la proprietà dell’Hotel Rigopiano a dotarsi di mezzi per evacuare la struttura in ogni evenienza.

Ma questo non fu fatto, e qualcuno potrebbe dire: “facile parlare dopo che tutto è accaduto”. No! Non posso accettare questa risposta. La prevenzione si fa prima, prima che gli eventi accadano. Ma di tutto questo non si parlò mai, fino a quando la tragedia si era ormai già consumata.

Di chi è la responsabilità di questa tragedia?

Il titolo “Rigopiano: denaro e omertà sulle vite spezzate” è quantomai significativo. Costruire per generare un indotto economico con l’aggravante che, a fatti compiuti, l’omertà è l’unica azione intrapresa per coprire le mancanze. E non stiamo citando le responsabilità della Regione Abruzzo, del Prefetto, della Provincia, del sindaco di Farindola, del capo della centrale di Penne o della Polizia che indagava sul prefetto.

In sintesi, è un sistema politico (non solo abruzzese) irresponsabile, che si nutre di interessi economici e di consenso. Un sistema che opera nella legalità, ma che alimenta contesti pericolosi a scapito della sicurezza dei cittadini, i quali, in questa occasione, hanno pagato con la vita.

Ed è ancora più agghiacciante pensare che sotto quelle macerie potevamo esserci tutti (farindolesi, pescaresi, milanesi, trentini, sardi). Come nel film Safe House: “Qui nessuno è al sicuro”. La nostra sicurezza, con tutte le misure preventive, la affidiamo a chi eleggiamo – o non eleggiamo – alle urne. Dovremmo riflettere sul fatto che, quando ci troviamo in situazioni di pericolo e abbiamo bisogno di aiuto, non dipendiamo dalle forze dell’ordine o dai soccorritori, che sono sempre presenti, ma da chi ci amministra e prende decisioni senza lungimiranza e senza considerare le conseguenze. E forse è proprio questo il vero insegnamento che la tragedia di Rigopiano ci lascia.

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